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mercoledì 22 marzo 2017

Lago d'Iseo Rock Climbing in the blue, hiking the blue lake



Le falesie del lago d’Iseo sono molto amate dagli appassionati delle arrampicate. I più esperti potranno godere dello spettacolare panorama sul lago, per i principianti invece ci sono istruttori esperti che vi faranno avvicinare ed appassionare a questo sport a contatto con la natura primigenia. A Paratico, comune del basso lago, Olimpic Climbing Sebino A.S.D. ha come principale scopo quella di insegnare ad arrampicarsi nelle più belle faelesie del Sebino, per rendere la vostra vacanza un tantino più movimentata. Consulatate il sito www.climbingsebino.com


A Predore (BG), nel basso lago, vi è una bellissima falesia con esposizione sud. Questa nota falesia è composta da diversi settori, con vie adatte a tutti i gusti, dai principianti (nel Settore Centrale) ai climber più esperti (il settore Aladino, con la via Sogni di gloria 8c). Altri settori da menzionare sono I gradoni ed il Settore Azzurro, una balconata immensa posta sopra il Settore Centrale e da non perdere nelle soleggiate giornate invernali. La roccia è un calcare compatto, a buchi e reglettes. La falesia è composta da 7 settori. Le vie più frequentate si dividono tra il settore Centrale (il settore più semplice, con una ventina di vie, dal 4a al 7b, di lunghezza variabile, fino a 20m), Aladino (circa una ventina di vie di circa 20-25m, con grado variabile dal 6a+ all’8c) ed Azzurro (o alto). Questo è il settore più panoramico e con maggiore potenzialità. Ci sono circa una trentina di vie, dal 5c all’NL. La lunghezza delle vie si aggira intorno ai 25-30mt. 

Avvicinamento:
Seguire la strada che dalla sbarra scende fino ad arrivare ad una casa, appena prima del cancello della casa prendere il sentiero che sulla destra scende di fianco al prato, il sentiero fa due tornanti e dopo il secondo proseguiamo ancora per circa 300 mt e troveremo sulla sinistra un sentierino che scende verso il torrente. percorriamolo fino ad arrivare al greto. In alcuni punti il sentiero non è ben visibile. la parte iniziale del torrente consiste in una lunga marcia nel greto, interrotta da una piccola calata da 5 metri.

Si prosegue ancora la marcia con la possibilità di qualche piccolo toboga fino ad arrivare alla prima vera e bella calata, uno spettacolare toboga percorribile in scivolata solo dopo lo scalino dove diventa piu verticale.
Fare attenzione all’acqua nella vasca di ricezione che non supera i 2mt.. Subito dopo questa Calata-toboga abbiamo una bella serie di tuffi in profonde vasche di ricezione non piu alti di 6 mt.

Dopo di che si arriva al passaggio piu delicato della forra, un passaggio trasversale verso destra sulla parete di una vasca, questo per fare il tuffo piu in sicurezza, da li ancora un tuffo e si arriva a un bel toboga di circa 4 mt. 
Arriviamo all’ultimo tuffo eseguibile sia da sinistra, direttamente sopra la cascata spingendoci bene verso l’esterno oppure sulla destra della vasca, in prossimità di un piccolo pino. 

dopo questo tuffo ancora qualche piccolo passaggio e usciamo sulla destra dal torrente costeggiandolo lungo un sentiero che si porta ad un campo per ritrovarci su una strada con il torrente sulla sinistra. 
da qui proseguiamo verso l’auto. 


In località Covelo (BS) c’è una parete attrezzata dal CAI di Iseo dove troverete delle belle e godibili vie con un piccolo boulder per principianti che vogliono intraprendere questa disciplina.
Nella palestra bassa ci sono vie dal 4° al 6° senza grossi problemi, invece nella palestra alta (BUS del QUAI) ci sono pareti 8a che attendono climber davvero estremi.
Arrivati a Marone proseguire seguendo la segnaletica per Zone. Dopo 3 km, sul tornante, c’è il bar-trattoria Belvedere (ultimo punto di ristoro) e dopo altri 1,5 km, immediatamente dopo un brevissimo sottopassaggio che protegge la strada dalla teleferica sovrastante, si svolta a destra in corrispondenza di un cartello segnaletico artigianale e poco visibile sulla sinistra “Rifugio Croce di Marone”. 2 km di strada in gran parte sterrata porta fino in vista della falesia, che è lì a poche decine di metri. Il parcheggio più indicato è quello della chiesetta (200 m oltre la falesia), ma si può comunque lasciare l’auto in tutte le anse della strada.
 La roccia, di calcare grigio bianco, è ricca di tacche più o meno svase e qualche buco qua e là. La roccia più ricca di buchi è l’Arco di Pietra dove la chiodatura è meno buona, mentre per quanto riguarda il settore principale, la chiodatura, è da ritenersi buona.

Si trovano in prevalenza itinerari di livello 6c / 7a e si va da itinerari tecnici a itinerari di resistenza. 
Si tratta di una falesia molto completa e allenante anche per la lunghezza dei suoi itinerari. 
La roccia asciuga velocemente anche dopo giorni di pioggia. 

A Castro (BG) - Falesia di calcare esposta a sud-est con comoda area picnic. Tiri divertenti con parti dure soprattutto all’inizio. Da segnalare la presenza di un piccolo canyon. Purtroppo sono presenti diversi punti molto unti.
Parcheggio in prossimità del cimitero. Proseguire a piedi lungo via Corna per 5 minuti.

Si può anche parcheggiare a nord, lungo la via nazionale (Lovere-Clusone). ci sono 6-7 posti in due piazzuole vicine, all’inizio della discesa verso Lovere. Una piccola rampa di sentiero porta alla strada medievale, che, verso est, praticamente in piano, porta al settore a destra del canyon e a tutti gli altri.

A Marone (BS) La falesia si trova nella Valle dell'Opol (2 km dopo la Madonna della Rota) comune di Marone, provincia di Brescia, ed è stata pensata come possibile palestra per scuole di arrampicata e allievi in generale. Avvicinamento zero, si trova a ridosso della strada, esposizione sud-ovest.

La roccia, di calcare grigio bianco, è ricca di tacche più o meno svase e qualche buco qua e là. La roccia più ricca di buchi è l’Arco di Pietra dove la chiodatura è meno buona, mentre per quanto riguarda il settore principale, la chiodatura, è da ritenersi buona.Si trovano in prevalenza itinerari di livello 6c / 7a e si va da itinerari tecnici a itinerari di resistenza. 
Si tratta di una falesia molto completa e allenante anche per la lunghezza dei suoi itinerari

venerdì 17 marzo 2017

Storie di lupi e di grotte, di piante e fiori con una guida naturalistica alla scoperta dei nostri luoghi più belli e nascosti


Livio Pagliari è una delle guide naturalistiche più esperte e appassionate del nostro territorio, guida ufficiale del Parco Orobie Valtellinesi e della Riserva naturale delle Torbiere del Sebino, nonchè esperto in fotografia naturalistica,  accompagnerà, chi lo vorrà seguire, su percorsi poco conosciuti raccontandone il paesaggio, la fauna, la flora e la storia dell'uomo che li ha abitati.
"La natura è parte di noi, noi siamo parte della natura. L’uomo sembra aver dimenticato questo aspetto fondamentale della sua vita su questo pianeta. Uomo e natura sono un solo essere. Le montagne sono il mantello che lo avvolge, il vento il respiro che lo anima. Le piante e gli animali diventano amici e compagni in questo irripetibile viaggio. Nel condurti in modo naturale in questo mondo, dobbiamo lasciare, come tracce sotto il cielo, solo i nostri pensieri e il suono dei nostri passi." questa è la sua filosofia. 
Si percorrerà il sentiero delle sorgenti e dei lupi a Polaveno, attraverso un itinerario che si sviluppa nella Val Saino, breve valle laterale della Valle di Gombio. Un sentiero che affronta contenuti storici e naturalistici e ci riporta indietro nel tempo quando il lupo era ancora presente in quest’area, dove l’ultimo avvistamento di questo animale risale al 1885.
Lungo il percorso si potranno osservare alcune loére, trappole costruite appunto per catturare i lupi; tra Polaveno, Brione, Ome e Monticelli se ne contano 14.
Seguirà l’altopiano di Cariadeghe  posto alla sommità di un massiccio calcareo situato al confine meridionale delle Prealpi Bresciane.
Unico nel paesaggio lombardo, è caratterizzato da importanti fenomeni di carsismo, per questo è riconosciuto “Monumento Naturale” dalla Regione Lombardia per le sue peculiarità geomorfologiche.

Numerose doline e grotte tra le più estese e profonde della provincia di Brescia, inserite in un verde paesaggio di pascoli e boschi dove possiamo ammirare esemplari monumentali di diverse specie di alberi come faggio, carpino bianco, castagno, ecc. Mete dell' escursione saranno la cascina del Comune situata in un ampio prato circondato da faggi secolari e l’ex monastero di S. Pietro in Monte, fondato nel 1039 sulla inconfondibile cima conica del m. S. Bartolomeo, dove lo sguardo spazia su tutto l’altopiano, sulla pianura e sul basso Garda.

L'occasione offerta da Universitas Ysei, associazione culturale iseana, è davvero interessante, le escursioni (9-16 maggio) saranno anticipate da un incontro propedeutico, il 2 maggio, nell' Aula Magna “F. Modigliani” dell’II.S. “G. Antonietti” di Iseo con proiezione di immagini sulla flora e sugli ambienti che verranno visitati. Iscrizione obbligatoria tel. 030 980047 e-mail uniysei@gmail.com

giovedì 16 marzo 2017

A L'ITALIA CHE VA - RadioRAI il Retificio FAR . Storie, realtà, esperienze, imprenditori di successo lo racconta Mario Ribola


ASCOLTA QUI'! Audio Rai.TV - L'Italia che va - L'Italia che va del 17/01/2017

Dalla pesca allo sport, dall'industria all'agricoltura
Leader in Italia e all'estero, esportazione 500mila kg di reti in 50 paesi nel mondo. 

Dal 1946 una realtà lombarda nata sulle rive del Lago d' Iseo, la FAR  produce reti da pesca e di lì oggi le reti di contenimento per le piste da sci, per i parchi giochi, un retificio di fibre sintetiche dove la tecnologia ha permesso grande sviluppo.


A L'ITALIA CHE VA - RAI 1 storie, realtà, esperienze, imprenditori di successo lo racconta Mario Ribola (A.D. FAR srl) 

mercoledì 15 marzo 2017

MILANO 23 marzo 2017 Franca Ghitti, il libro alla Triennale della scultrice camuna

l’installazione Il segno dell’acqua nel Lago di Iseo

La Triennale di Milano ospita, giovedì 23 marzo alle ore 18, la presentazione del volume monografico della scultrice Franca Ghitti a cura e con un saggio introduttivo di Elena Pontiggia, edito da Skira.
All’incontro intervengono la curatrice Elena Pontiggia, Professore dell’Accademia di Belle Arti di Brera; Cecilia De Carli, Professore dell’Università Cattolica di Milano; Micol Forti, Direttrice della Collezione d’Arte Moderna dei Musei Vaticani.
Il libro traccia il percorso artistico di Franca Ghitti (1932-2012), scultrice di fama internazionale, dagli anni cinquanta alla sua scomparsa, le cui opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private tra cui la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e i Musei Vaticani.
Ne nasce una lettura globale dell’opera dell’artista che ha inizio in Valle Camonica, suo paese di nascita a cui rimane significativamente legata durante il corso della sua vita, che ripercorre tutte le tappe significative, dagli studi artistici a Milano, Parigi, Salisburgo, all’esperienza africana, alle mostre internazionali, e ne emerge il ciclico ritorno alle origini e alla sua terra, che la sprona a continui studi, approfondimenti e ricerche.
L’avvincente volume mette il lettore in contatto diretto con il personaggio e con la società artistica dell’epoca, in un intreccio che offre uno spaccato curioso e al contempo molto interessante.
Molto attenta alla scelta dei materiali, Franca Ghitti inizialmente predilige soprattutto quelli legati alla terra e al mondo del lavoro,fra cui vecchie assi di legno e avanzi di segheria. Successivamente opta anche per il ferro e i metalli, recuperati nelle antiche fucine della Valcamonica, come stampi, ritagli, tondini, chiodi, polvere di fusione, ma anche scarti di lavorazione delle industrie metalliche.
Il suo stile nel ricomporre restituisce ai materiali nuova energia e profondi significati; un linguaggio essenziale e concreto, legato alle linee, alle forme, alla geometria, che unisce in un armonico dialogo il presente al passato. Numerosi sono infatti i riferimenti alle incisioni rupestri e ai simboli primitivi delle tribù africane che si mescolano a espressioni moderne e contemporanee.
Elena Pontiggia afferma nel suo testo critico: “Quello di Franca Ghitti è un mondo complesso, un crogiolo di esperienze occidentali e primitive, di arte e architettura, di ripetizione e differenza. La sua scultura è sempre un disegno di mappe, una collezione di segni: non cerca il volume, il modellato, la massa, ma la superficie, la tavola, la pagina. La sua arte insegna la ricerca di alfabeti che non si trovano nei libri e di mondi che non coincidono con il nostro. Insegna che le mani sanno quello che la mente non capisce, mentre il linguaggio dei segni custodisce qualcosa che le parole non registrano”.
I primi lavori in legno, realizzati negli anni sessanta, intitolati Mappe, sono tavole di legno con incisioni, ispirate alle incisioni rupestri a cui seguono altri cicli scultorei, sempre di matrice minimalista, a cui si aggiunge l’utilizzo di nuovi elementi, i chiodi, considerati dall’artista fondamentali per l’uso e la forma. Fra questi si ricordano I Rituali, Le Vicinie, Le Storie dei morti, I Reliquiari che restituiscono la cultura contadina e in cui si allude alla tradizione, alle leggende, al dialetto, ai canti, ai proverbi.
Negli anni Settanta, l’esperienza africana e il suo trasferimento per alcuni anni in queste terre, conducono l’artista ad inserire nel suo linguaggio nuovi simboli, nuovi colori, nuovi materiali fra cui il cemento e il vetro, come si osserva in Orme del Tempo. Totem.
In un continuo divenire, i lavori di Franca Ghitti assumono negli anni successivi dimensioni e forme diverse sempre intrinsecamente legate al suo vissuto, come la verticalità, ispirata dalla visione dei grattacieli di Montreal e dai boschi del Labrador, che caratterizza le opere Cancelli, Libri Chiusi, Alberi. Il ritmo verticale tuttavia è spesso contrastato da un’energia orizzontale, resa dall’accostamento seriale di tessere e liste di legno, come se la materia fosse tessuta o intrecciata. In una poetica costantemente attenta al rapporto con lo spazio, alla fine degli anni ottanta si inserisce l’interesse per la forma circolare, Ciclo dei Tondi, dove il cerchio più o meno regolare evoca il concetto di ripetitività.
Anche nelle installazioni, Meridiane, sono presenti temi legati al tempo e allo spazio, ma aprono contemporaneamente nuovi orizzonti con esplicite riflessioni sulla città, sull’architettura e sul linguaggio; in Alfabeti perduti e Altri Alfabeti realizzati alla fine degli anni novanta l’artista riscopre linguaggi dimenticati, di culture passate.
La sua ricerca artistica prosegue con continui approfondimenti, che contengono la memoria di vissuti comunitari connessi a epoche e luoghi differenti connessi alla contemporaneità.
Affermava infatti l’artista: “Non credo nell’improvvisazione. Un’opera è il risultato di una lunga meditazione, di un processo di conoscenza che dura tutta la vita”.
In seguito alla morte di Franca Ghitti, per volontà della scultrice è nata la Fondazione Archivio Franca Ghitti che si propone di promuovere l’opera dell’artista a scopo culturale in Italia e all’estero.
L’incontro in Triennale è accompagnato dalla proiezione del trailer del documentario “Franca Ghitti. Il film” del regista Davide Bassanesi che ripercorre i momenti più significativi della vita della scultrice.
Alla presentazione partecipa inoltre l’architetto Giovanni Cadeo, autore del progetto di restauro dell’edificio che sarà sede del Museo Archivio dell’artista, con una proiezione di immagini del progetto, ormai nella sua fase conclusiva.
Cenni biografici. Franca Ghitti (1932-2012) nasce in Valle Camonica. Frequenta le accademie d’arte di Milano, Parigi e Salisburgo e dagli anni Sessanta si dedica alla scultura specializzandosi nell’utilizzo di materiali quali il legno e il ferro.
Tra le principali mostre internazionali si ricordano quelle presso: Museo di Palazzo Braschi (Roma), Istituti Italiani di Cultura (Vienna, Budapest, Monaco), New York University (New York), Palazzo Martinengo e ex chiesa di San Desiderio (Brescia), OK Harris Gallery (New York), Fondazione Bilbao Bizkaia Kutxa (Bilbao), Young Arts Gallery (Vienna), Fortezza da Basso (Firenze), Museo Diocesano (Milano), University of Houston, Triennale di Milano, Biennale Internazionale di Scultura (Agliè), Castello di Brescia, Museo della Permanente (Milano), École Nationale Supérieure d’Architecture de Paris La Villette (Parigi), Università Bocconi (Milano), Museo d’Arte Contemporanea Manege (San Pietroburgo).
Numerosi gli interventi dell’artista in spazi pubblici e privati, tra i più significativi spiccano le vetrate per la Chiesa degli Italiani di Nairobi in Kenya; il cancello per il Museo Agricolo del Castello di Brunnenburg (Merano); le opere in ferro per le sedi della Banca Credito Italiano; l’installazione Il segno dell’acqua nel Lago di Iseo; la grande scultura per la Rocca di San Giorgio a Orzinuovi (Brescia).
Il suo percorso artistico è accompagnato da numerose pubblicazioni, si ricordano le case editrici Scheiwiller, Lucini editore, Electa, Charta e Edizioni Mazzotta.
Hanno scritto di lei critici e giornalisti di rilievo quali: Giuseppe Appella, Giulio Carlo Argan, Carlo Bertelli, Paolo Biscottini, Rossana Bossaglia, Claudio Cerritelli, Enrico Crispolti, Cecilia De Carli, Raffaele De Grada, Marina De Stasio, Sebastiano Grasso, Flaminio Gualdoni, Fausto Lorenzi, Marco Meneguzzo, Anty Pansera, Pietro Petraroia, Elena Pontiggia, Gianfranco Ravasi, Roberto Sanesi, Vanni Scheiwiller, Francesco Tedeschi.
Fondazione Archivio Franca Ghitti. Nel 2013, in seguito alla morte dell’artista, nasce la Fondazione Archivio Franca Ghitti volta alla conservazione, catalogazione e valorizzazione della sua opera.
Maria Luisa Ardizzone, Professore alla New York University di New York, è presidente della Fondazione che vanta un comitato scientifico composto da nomi illustri quali: Cecilia De Carli, Professore Università Cattolica di Milano; Fausto Lorenzi, critico d’arte e giornalista; Marco Meneguzzo, Professore Accademia di Belle Arti di Brera; Margaret Morton, artista, fotografa e Professore Cooper Union, New York; Elena Pontiggia, Professore Accademia di Belle Arti di Brera.
Dal 2013 l’architetto Giovanni Cadeo dello Studio Cadeo di Brescia si dedica al progetto di ristrutturazione dell’ex casa studio dell’artista, oggi sede della Fondazione, per il progetto dell’archivio-museo dedicato a Franca Ghitti.
Tra le principali iniziative realizzate dalla Fondazione si ricordano le mostre presso la Biblioteca Sormani di Milano a cura di Elena Pontiggia; il Castello di Sirmione; Villa Clerici a Milano; il Museo dell’energia idroelettrica di Valle Camonica; l’Università Cattolica di Milano a cura di Cecilia De Carli.
Presentazione del volume
FRANCA GHITTI
a cura e con saggio introduttivo di Elena Pontiggia
Skira editore
giovedì 23 marzo 2017, ore 18
Si ringrazia lo sponsor tecnico Barone Pizzini

La Bottega dei Selva da Riva sul Sebino












... Una colonia di maestri comacini, rappresentata da famiglie dei Selva (o Silva), è approdata anche a Riva di Solto nella seconda metà del XVII secolo. Sono documentate nel 1671 le presenze a Riva di Solto del maestro tagliapietra Giulio Selva da Veglio, figlio del maestro Francesco, e del maestro Martino figlio di Bartolomeo Silva da Cerano de cinque comuni di Mezzena del lago di Como della Valle d’Intelvi. La loro venuta e permanenza sono ascrivibili alla presenza di marmo nero in località Leède e Bögn di Riva di Solto, allora di grande apprezzamento per il taglio di lastre da intarsio marmoreo, materiale fondamentale nel momento cruciale dell’evoluzione del passaggio tra l’altaristica lignea e quella lapidea. 
Giulio Selva q.m Francesco, di professione tagliapietre (o maestro lapicida), sposa il 26 giugno 1679 Maria di Bernardino Polini di Riva di Solto fissandovi residenza. Per soddisfare le svariate committenze apre una bottega o laboratorio avvalendosi del lavoro, per lo più, di maestranze provenienti dalla valle d’Intelvi e dal luganese. [...]
Numerose furono le maestranze di architetti, muratori, scalpellini, stuccatori e pittori che si avvicendarono a Riva di Solto nelle botteghe dei Selva, da cui uscirono opere pregevoli d’altaristica, per lo più in marmo nero (a volte anche bianco) intarsiato con marmi policromi, per le chiese del Sebino, della Valle Camonica e altrove. Questi altari sono riconoscibili fino alla fine del ’700 da intarsi per lo più geometrici su marmo nero, e successivamente da variegata e squisita tipologia di intarsi a girali, a fiorami, geometrici, arricchiti di qualche uccellino, petali di fiori, madreperle. Alcuni recano incisa la data di esecuzione. Le loro opere sono per lo più prive di firma, per cui l’attribuzione dipende dal rinvenimento di contratti e testamenti rogati da notai o di scritture private conservate negli archivi delle chiese o delle confraternite committenti. ...

Dal lago di Como a quello di Iseo, portandosi come bagaglio il mestiere di tagliapietre. È l’emigrazione iniziata a fine Seicento dai lapicidi della Val d’Intelvi, ovvero delle maestranze originarie dei paesi montani sopra il Lario e il Ceresio, al confine con la Svizzera, trasferite a Riva di Solto per realizzare gli altari in marmo delle chiese della zona. Ma perché proprio sulla sponda occidentale del Sebino? «Perche qui c’erano le cave di marmo nero che si avvicinava per coloritura e uniformità cromatica al ricercatissimo “Nero di Paragone”, il marmo di riferimento per l’altaristica utilizzato come fondo per l’intarsio lapideo», spiega il professor Valentino Volta, che per anni ha insegnato Storia dell’architettura alla facoltà di ingegneria di Brescia. «Poi Riva di Solto era equidistante da due centri di produzione altaristica lapidea - continua Volta -: la Rovetta dei celebri Fantoni in Valseriana e la bresciana Rezzato, che aveva cave di marmo. Un altro elemento da tener presente riguarda la posizione centrale tra la Valcamonica, le valli bergamasche e la Franciacorta, tutte aree in pieno sviluppo per il rinnovo degli arredi delle chiese in seguito alla Controriforma». La famiglia di lapicidi originari della Val d’Intelvi che si ferma a Riva di Solto è quella dei Silva, poi attualizzato in Selva, come racconta l’avvocato Bortolo Pasinelli di Fornovo nel volume, appena pubblicato, «Riva di Solto. Zorzino e Gargarino».
«Le cave di marmo nero erano in località Leède e Bögn - scrive Pasinelli -. I Selva erano originaria di Veglio, frazione di Cerano Valdintelvi. Il primo ad arrivare è stato Giulio, che il 26 giugno 1679 sposa Maria Polini, originaria di Riva di Solto, e sposta la sua residenza aprendo una bottega in paese». Pasinelli è riuscito a risalire alla genealogia della famiglia Selva trasferita in Bergamasca e alle opere da loro realizzate consultando gli archivi parrocchiali e gli atti notarili dell’Archivio di Stato di Bergamo. Un lavoro certosino che, unito alle importanti ricerche sul carteggio dei Fantoni portate avanti dal professor Volta, ha portato alla luce una realtà sconosciuta documentando la nascita di queste botteghe di lapicidi comaschi sorte a Riva di Solto tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento. «La bottega più importante era quella di Giulio Selva, che nel 1681 è stato raggiunto dal fratello Giacomo - racconta Pasinelli -. La caratteristica di questi artisti era di utilizzare maestranze edili di compaesani e parenti. Tagliapietre, scultori, scalpellini, stuccatori, pittori e muratori arrivavano dal lago di Como e di Lugano». C’è anche un anno di svolta artistica, come ha scoperto Volta: «La loro tecnica lavorativa si perfeziona attorno al 1690, dopo aver visto i capolavori realizzati per l’altare della chiesa dell’Abbazia di San Paolo d’Argon dai maestri bresciani Antonio e Domenico Corbarelli, fratelli originari di Firenze specializzati nella “pittura di pietra”.
Prima i Silva realizzavano solo composizioni geometriche semplici, ma grazie alla loro grande abilità e all’attenzione per le novità, dopo aver visto i fratelli Corbarelli al lavoro hanno iniziato a sfornare veri e propri capolavori con disegni più raffinati e stilizzati». I Selva collaborarono anche con i celebri Fantoni di Rovetta. «I ricami e i fiorami realizzati in pietra tagliata col filo e poi inseriti nel marmo erano un’attività complessa - continua Pasinelli -. I Fantoni progettavano l’opera, ma la realizzazione veniva fatta dai Selva». Aggiunge Volta: «La collaborazione di queste botteghe con i Fantoni è stata lunga, anche se subordinata. Dai documenti del tempo (un esempio per tutti il testamento con cui il 2 ottobre 1721 Giuseppe Antonio Foresti di Riva di Solto disponeva un lascito di 300 lire all’oratorio del SS. Crocifisso di Solto per «far coprir di cristalli di Venezia le statue di quell’altare...»), risulta che fino al 1740 i Selva lavorassero come subappaltatori dei Fantoni, poi con la morte di Andrea Fantoni - il caposcuola della famiglia di artisti -, hanno iniziato ad avere commissioni in proprio”. Per rendersi conto del lavoro altamente specializzato di questi lapicidi basta ammirare gli altari della maggior parte delle chiese della zona: da Riva di Solto alla Valle Camonica, da Foresto Sparso a Tavernola. A predominare il marmo nero, impreziosito da intagli e decori dai colori più disparati grazie all’utilizzo di marmi e pietre differenti: dal bianco di Carrara al rosso di Verona, passando per lapislazzulo, malachite e alabastro.
Dove trovare i Selva da Riva:  
Riva Parrocchiale
Riva San Rocco
Gargarino SS Ippolito Cassiano
Solto Oratorio del Crocefisso
Zorzino Santa Croce
Tavernola Bergamasca - San Pietro
Vigolo Santa Maria Assunta
Foresto : San Marco
Esmate : San Gaudenzio
Costa Volpino : Santo Stefano
Marone : Santa Maria della Rota
Toline: San Gregorio
Vilminore : Nuova Pieve
Marone : San Martino

sabato 11 marzo 2017

#InLombardia, una destinazione da Collezionare!

#ILPASSAPORTO PUNTI DI RITIRO 
IAT Iseo – Lungolago Marconi, 2/c – 25049 Iseo (BS)
IAT Alto Sebino – Piazza 13 Martiri, 37 – 24065 Lovere (BG) 
IAT Basso Sebino – Via Tresanda, 1 – 24067 Sarnico (BG)
IAT Brescia – Piazza del Foro, 9 – 25100 Brescia 
Garda Musei e Il Vittoriale – Via del Vittoriale, 12 – 25083 Gardone Riviera (BS) 
Infopoint Brescia Centro – Via Trieste 1, Brescia 
Infopoint Brescia Stazione FS – Via Vincenzo Foppa, Brescia        Cos’è #ilPassaporto #inLombardia?
Un unico documento nel quale raccogliere e collezionare le proprie visite nella regione Lombardia da collezionare con #ilPassaporto dedicato alle sue più importanti destinazioni turistiche. Luoghi noti, ma anche chicche da esplorare e conoscere, per diventare un vero esperto della Lombardia!  
#ilPassaporto, unico e numerato, ti permette di creare un racconto personale dei tuoi viaggi #inLombardia. E’ semplice: visita una località compresa nel Passaporto (sono davvero tante!) o partecipa ad uno degli eventi speciali. Una volta lì, fai timbrare #ilPassaporto nella pagina dedicata a quella destinazione.       Come richiederlo? on line quì , presso i punti indicati o scrivi a passaporto@in-lombardia.it per maggiori informazioni. 
E’ facile e veloce!
Quando avrai completato il passaporto, potrai richiedere l’attestato #inLombardia!

venerdì 10 marzo 2017

TAVERNOLA BERGAMASCA Portò il kiwi in Italia e la sequoia sul Sebino



Luigi Fenaroli (1899-1980) fu «insigne botanico bergamasco di fama mondiale, antesignano e cultore degli studi fitogeografici e floristici, nonché protagonista eminente del rilancio postbellico dell’agricoltura e della selvicoltura italiana attraverso il saggio impiego della genetica vegetale».
Dal 1928 al 1932 resse la sezione di Iseo della cattedra ambulante di agricoltura.La sua specializzazione di genetista lo portò in Egitto nel 1956 per risolvere i problemi di miglioramento del mais; nel frattempo si occupò anche del miglioramento della patata e nel 1964 fu chiamato per consulenze in questo settore dal governo canadese. Diresse a Bergamo anche l'osservatorio meteorologico dell'Istituto centrale di meteorologia ed ecologia agraria e pubblicò periodicamente, in collaborazione con V. Nozzolini, i dati rilevati. Pur rimanendo a Bergamo dal 1968 al giugno 1974, quando fu collocato a riposo per limiti di età, assunse la direzione dell'istituto sperimentale per l'assestamento forestale e per l'apicoltura di Trento.



Importò e mise a dimora, presso il Corno di Predore, nel lago alcuni esemplari di cipresso delle paludi o cipresso calvo (Taxodium distichum).
L’arboreto, di Villa Elena ubicata all’ingresso del centro abitato, fu ideato dal padre di Luigi, Giovan Battista, bancario appassionato di piante di montagna e di giardini rocciosi. Ma fu Luigi ad arricchirlo di essenze rare: impiantò il bambù, l’albero della canfora, la sequoia gigante, la quercia del sughero, il ginkgo biloba, una ricca varietà di felci che caratterizzano il sottobosco e altre pregiate essenze.
In un suggestivo angolo dell’arboreto c’è la pianta madre del kiwi, l’Actinidia, che Fenaroli riuscì ad acclimatare nel 1960 quando era direttore della Stazione sperimentale di Stezzano.
Sperimentò infatti la coltivazione del kiwi, che poi si diffuse in tutta Italia, in collaborazione con il giardino botanico della Sorbona di Parigi, importando una decina di piantine dalla Nuova Zelanda. Ricorda Pietro Bettoni, segretario della Fondazione Buonomo Cacciamatta, di cui Fenaroli fu presidente dal 1946 al 1976: «Si deve a lui il riordino del patrimonio immobiliare dell’ente, con l’acquisto anche della proprietà di Fontanella dove, grazie alle favorevoli condizioni climatiche, ebbe inizio con successo la coltivazione del kiwi. Io stesso mi recai dal fittavolo al quale consegnai uno schema del professore con indicato dove dovevano essere messe a dimora le piantine di Actinidia». I suoi studi di genetica vegetale condotti negli Stati Uniti e applicati in Italia tramite la Stazione sperimentale di maiscoltura di Bergamo che diresse dal 1946 al 1968, furono di fondamentale importanza per l’introduzione di mais ibridi in Italia favorendo così lo sviluppo e la produzione dell’agricoltura italiana.

lunedì 6 marzo 2017

PARATICO realizzazione di una nuova passeggiata sul lago in località le chiatte









Il progetto prende avvio dalla necessità di realizzare un percorso pedonale in grado di collegare il parco “Le Chiatte” con la prosecuzione della passeggiata a lago più a ovest, verso il paese di Clusane. Attualmente il percorso è interrotto dalla presenza di un tratto di costa di proprietà privata che costringe i fruitori ad aggirare l’insediamento residenziale passando per la strada provinciale. L’intenzione è di unire i due tratti per dare continuità alla passeggiata e determinare un unico ambito collegato con punti di sosta, mettendo in relazione l’uomo con l’acqua.

La scelta concettuale è quella di proporre un intervento che non vuole essere solo la soluzione alla necessità di collegare i due punti interrotti delle passeggiate, ma si propone esso stesso come meta, come un luogo in cui stare, dove la percezione dei suoni e dei rumori offre la possibilità di estraniarsi dall’intorno e dove il raggiungimento della sponda è rimandato nello spazio e nel tempo. L’intervento genera un percorso sospeso diverso da quelli esistenti che fa da trait d’union non solo fisica, ma anche concettuale. La nuova architettura si inserisce nel paesaggio in modo tale che il visitatore possa avere una percezione del luogo diretta e coinvolgente. In questo modo il percorso consente di vivere, occupare e “abitare” il paesaggio in maniera poetica. Questo presupposto ha portato a rifiutare soluzioni standardizzate, a evitare un percorso lineare proponendo invece un tracciato segmentato, con cambi di direzione non logici alla funzione di collegamento accrescendo l’effetto emotivo suscitato dalla natura. Il nuovo percorso sull’acqua è caratterizzato dal disegno geometrico delle sue forme, con repentini cambi di rotta disegnati per creare nuovi punti di vista e orizzonti sempre diversi. Durante il percorso si è costretti a cambiare direzione e quindi si è portati a spostare continuamente lo sguardo e percepire il paesaggio, la luce e le vibrazioni dell’acqua in maniera sempre nuova. Le parti che danno forma al percorso pedonale sono sollevate dall’acqua per non intaccare lo scenario ambientale nel quale si trovano. La nuova architettura è come una palafitta sospesa che si snoda e serpeggia nel paesaggio instaurando con esso un rapporto di reciproco scambio. Natura e architettura si accostano, si avvicinano, dialogano ma non si fondono. I materiali utilizzati enfatizzano queste caratteristiche creando una serie di relazioni forti che esaltano l’unicità del sito.

venerdì 3 marzo 2017

Aperte le iscrizioni al Franciacorta Historic 2017 - 10° ed.


Si sono aperte le iscrizioni alla 10ª edizione del Franciacorta Historic di sabato 8 aprile A partire da questa edizione, per uniformarsi alla regolamentazione del Criterium Bresciano Regolarità, la gara sarà riservata alle vetture costruite fino al 1971 oltre a una selezione di modelli di interesse storico e collezionistico prodotti entro il 1976. Il percorso di gara, come sempre rinnovato, impegnerà i concorrenti attraverso le più belle zone della Franciacorta lungo un affascinante tracciato di circa 130 km con oltre 50 prove cronometrate in linea (non ripetute) con partenza e arrivo al Ristorante La Colombera di Castrezzato e il pranzo di gara al Ristorante L'Approdo sul suggestivo lungolago di Paratico. Le iscrizioni vanno perfezionate online e inoltrate al Comitato Organizzatore tramite e-mail o fax, unite alla tassa di iscrizione di € 350 - invariata rispetto alla scorsa edizione - e comprensiva dell'ospitalità per l'intera giornata di sabato. www.franciacortahistoric.it

la "Rubber valley" del Sebino: C’era una volta l’ingegner Colombo, che nei primi anni del ‘900 fondò a Sarnico, sulla sponda bergamasca del lago d’Iseo, la “Manifattura Italiana Colombo & C. Guarnizioni per Macchine”....

Il distretto è composto da più di 300 aziende, molte piccolissime, ed ha avuto origine all’inizio del ‘900 sul lago d’Iseo, precisamente a Sarnico. Cresciuto rapidamente dopo il secondo dopoguerra grazie al boom del settore auto e degli elettrodomestici e grazie all’export. Conta 200 aziende, dà lavoro a oltre 4.500 persone e fattura 2,5 miliardi, con un export di 430 milioni. E vanta numerose eccellenze riconosciute a livello internazionale 




C’era una volta l’ingegner Colombo, che nei primi anni del ‘900 fondò a Sarnico, sulla sponda bergamasca del lago d’Iseo, la “Manifattura Italiana Colombo & C. Guarnizioni per Macchine”. L’intuizione dell’ingegnere fu quella di abbinare alla costruzione di sistemi meccanici la produzione di guarnizioni in amianto; senza sapere che questa iniziativa avrebbe dato origine, per gemmazione, alle 200 imprese attive oggi sul territorio bergamasco. La cosiddetta “Rubber valley” del Sebino (questo il nome con cui è conosciuto il lago d’Iseo) comprende infatti circa una decina di comuni della provincia di Bergamo e uno della provincia di Brescia, Paratico, che ne fanno il maggior produttore e fornitore nazionale ed europeo delle guarnizioni in gomma.La gomma che dà il pane
Secondo l’ultimo rapporto di Intesa Sanpaolo su economia e finanza dei distretti industriali, quello della gomma e della plastica è il distretto che fa registrare le migliori performance e la maggiore crescita nel nostro Paese. Giusto per dare qualche numero, parliamo di una produzione che copre l’intera filiera, dà lavoro a 4500 persone e fattura in aggregato circa 2,5 miliardi di euro, con un export che vale più di 430 milioni.

Dall’edilizia all’industria alimentare
A partire dalle produzioni di guarnizioni in amianto, ferro e rame per il settore automobilistico, della rubinetteria e degli elettrodomestici realizzate negli anni Cinquanta dalle aziende storiche del distretto, passando per l’evoluzione nella lavorazione della gomma, il distretto si è specializzato nella produzione di guarnizioni, prodotti in gomma e innovativi materiali polimerici ed elastomerici. E nonostante la crisi attraversata da tutta l’industria italiana negli ultimi anni, si conferma il maggiore produttore e fornitore nazionale ed europeo delle guarnizioni in gomma destinate a edilizia, auto, agricoltura, rubinetteria, elettrodomestici, aerodinamica e industria alimentare.Tecnologie avanzate e produzione on demand
Ma quali sono le aziende principali di questo distretto? Molte sono imprese conosciute a livello mondiale, realtà di primo piano che puntano da sempre su innovazione e tecnologie all’avanguardia. Un esempio è la Argomm di Villongo, diventata una multinazionale “tascabile” con stabilimenti all’estero: 51 milioni di euro di ricavi, profitti netti per 6 milioni e un’acquisizione da 4 milioni di euro in Tailandia che, nel 2013, ha garantito la verticalizzazione dei processi e l’ampliamento della gamma di prodotto. Oppure la Lanzagomma, nata negli anni 70, ma in continua evoluzione: durante la crisi, ad esempio, ha ampliato il suo mercato curando la produzione in conto terzi di materiale plastico. Una scelta vincente, visto che questa lavorazione, oggi, vale il 60-70% del suo fatturato.
Ma c’è anche la Duci di Chiuduno, una delle più affermate aziende a livello europeo specializzata nella produzione di O-rings (anelli utilizzati come guarnizioni) e particolari tecnici in gomma, oppure la Ar-tex, fondata nel 1970 a Viadanica, paese con meno di mille anime a Nord di Sarnico, e oggi leader mondiale nella produzione di guarnizioni in gomma per motori d’auto: 40 milioni di fatturato annuo, 200 dipendenti e unità produttive in Spagna, Usa, Messico e Cina. Con una produzione da più di 200 milioni di pezzi al mese, le guarnizioni in gomma di Ar-Tex non sono contenute in un catalogo, ma sono prodotte su richiesta dei clienti, molti dei quali sono fornitori di primo livello della componentistica, che a loro volta vendono a giganti dell’auto come Ferrari, Porsche, Renault e Volkswagen.
fonte www.borsaitaliana.it