Un video da guardare per tutti gli amanti di Sarnico e del Lago d'Iseo (...al di la del fatto che artista e canzone sono splendidi :D )
qui la storia dietro al video
“Il Mio Disco Nuovo” è il primo singolo estratto dall’album di Trevisan, “Questa Sera Non Esco”.
Per tre mesi durante l’estate il cantautore e il regista del video hanno dedicato ogni week-end alle riprese del video. Un iter così lungo e appassionato perché in gioco non c’era solo un video da girare, ma anche una piccola barca di famiglia di nome ‘Blu‘ da restaurare, da rimettere in acqua.
Una barca che per Trevisan significa molte cose. Oltre alla storia di famiglia che lo lega a quell’assemblato di legno e ferro montato da suo padre, c’è il rapporto col tempo, la fiducia, le sconfitte. E c’è il grande quesito universale se valga la pena d’impegnarsi per anni nel costruire qualcosa che – come il legno – si deformerà, marcirà e andrà sempre curato, senza alcuna certezza circa gli esiti di questo sforzo. E poi, in ultimo, questa barca la si porta in acqua da soli.
Sembra che Trevisan in questo video ci racconti un’altra storia rispetto al testo della sua canzone. Al contrario, il conflitto con l’impegno – anch’esso artigiano – che richiede fare un disco dopo i quarant’anni e il dialogo quotidiano col proprio passato sono il fil-rouge del suo intero album. Perché la verità non sta nella sbronza della notte prima, ma nel day after con le sue prese di coscienza.
Trevisan racconta la storia e la metafora della barca ‘Blu’ con queste parole:
“Nel 1970 mio padre e il suo amico Willy decisero che si sarebbero costruiti una barca. Scelsero un modello francese, il Corsaire, che era una piccola barca adatta alla navigazione costiera ma capace comunque di tenere il mare.
Questa barca permetteva a tutti – filosofia che mi ha sempre affascinato – di poter provare a prendere il mare, pur non avendo a disposizione il budget necessario per comprarsi una barca a vela adeguata agli standard dell’epoca. Una “vela sociale”, dunque, che è l’esatto contrario dell’idea di barca a vela come surplus per pochi.
Con questo obiettivo, per due anni, nei fine settimana e nel tempo libero, completarono l’opera. Tutto questo in garage e senza avere professionalità specifiche; una cosa che, se ci penso, veramente non so dove abbiano trovato la forza e la fiducia per andare avanti, per fronteggiare sbattimenti come farsi fondere un bulbo in ghisa da 300 chili… Comunque alla fine ci sono riusciti e la coppia di Corsaire è stata varata, ha fatto mare, lago, mini crociere nell’allora Jugoslavia.
Una delle due è stata venduta quasi subito, perché una barca a testa comportava troppe spese di gestione, immagino. Ne è rimasta una, della quale ho ricordi abbastanza vividi nonostante ci sia stato solo da molto piccolo. Poi mio padre, al quale piaceva molto andar per mare, ha deciso di comprarsi una barca di qualche metro più grossa in vetroresina.
Da quel momento il ‘Blu’ – così si chiamava semplicemente, senza alcun vezzo poetico e romanzesco – è rimasta a Willy.
Mio padre se n’è andato nel 1988, piuttosto prematuramente si direbbe e con ovvie tragedie.
Tutto è stato venduto barca compresa, tutto è finito nel dimenticatoio, oppure ci è stato cacciato. Abbiamo smesso di andare a vela. Poi la vita, la scuola, la musica, il lavoro… insomma, il ‘Blu’ è sparito inghiottito dalle nebbie del passato. Senonché, circa 5 anni fa, mia madre mi chiama: “guarda ho sentito Willy, dice che il Blu è in giardino, a suo figlio non interessa, se la volete da sistemare è lì”. Ecco, a distanza di trent’anni e più, riappare dai fumi della memoria. Decido di rimetterla in acqua.
In circa un anno di lavori – la barca andava sverniciata, stuccata, riparata, riverniciata, smontata del ferro ecc. – riesco, non senza problemi e spese varie, a riportarla in acqua. Ritorna a navigare, e io con lei, torno a metterla al vecchio circolo sul lago d’Iseo, che è stato la sua base per tanti anni. Torno ad andare a vela che è bellissimo e me l’ero dimenticato, si fanno le gite, i bagni, si dorme in barca, si mangia pane e salame, ci si sbronza, e ci si fa pure l’amore. E mi sento come di aver fatto la mia parte in questa storia.
Adesso la barca soffre ancora perché il legno è un casino, è vivo, si muove, spesso si gonfia di umidità, si rovina, marcisce.
Io non so se riuscirò da solo a tenerla efficiente, per starle dietro ci vuole tempo e passione, e anche per suonare ci vuole tempo e passione.
Blu, non si può essere marinaio e musicista allo stesso tempo”.