Un petit déjeuner sur l'herbe... dove?
Al VIRIDARIUM di Santa Giulia!
Ingresso libero tutti i giorni tranne il lunedì
si entra dalla biglietteria del museo,
ma senza bisogno di biglietto
Intorno alle Domus rinascono l’hortus e il Viridarium.
Le Domus dell’Ortaglia, le bellissime case romane rinvenute nelle
vicinanze del museo di Santa Giulia, a Brescia, sono nuovamente contornate da
fiori e piante così come lo erano duemila anni fa. E’ la nuova tappa del
processo di recupero e valorizzazione culturale e turistica della città,
scaturito dalla partnership tra il Comune di Brescia e la Fondazione CAB, che
in questo progetto vedono affiancarsi anche la Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Lombardia.
Architetti, archeologi, esperti di botanica e giardinieri, si sono a
lungo confrontati per riuscire ad evocare per gli spazi verdi continui alle Domus
l’aspetto, l’atmosfera, le caratteristiche che un cittadino dell’antica
Brixia avrebbe potuto osservare passeggiando in questo quartiere entro le mura
cittadine.
Gli scavi archeologici effettuati in adiacenza alle domus
avevano messo in evidenza un’area non edificata all’interno della quale
semplici muri di cinta in pietra di cava delimitavano spazi geometrici
quadrangolari, per i quali era stata ipotizzata la funzione di horti
delle Domus.
I Romani iniziarono a riservare spazi verdi all’interno delle città,
di pertinenza residenziale, a partire dal II secolo a.C., secondo una
consuetudine ereditata dal mondo greco, dove la cura di piccoli frutteti o
giardini era già in uso fin dal V secolo a.C.
I primi horti delle città romane sono molto semplici, con una
funzione prevalentemente produttiva legata alla coltivazione di alberi da
frutto ed erbe aromatiche; solo in un secondo momento vengono allestiti
giardini più ameni, i viridaria, con specie arboree e da fiore
provenienti da tutto il bacino del mediterraneo, coltivati a fini simbolici,
decorativi e contemplativi.
Il termine hortus tuttavia venne comunemente utilizzato per
indicare sia l’orto-frutteto che il viridarium.
Le fonti tramandano che il primo grande giardino in questo senso fosse
stato realizzato intorno al 60 a.C. nella villa di Lucullo, proconsole molto
facoltoso che aveva vissuto a lungo in oriente. La successiva diffusione di
questi spazi verdi anche all’interno delle città indica l’intenzione di
riportare in piccolo, presso le Domus, i luoghi di diletto tipici delle grandi
residenze extraurbane.
Sulla scorta quindi della tradizione e della cultura romana, sono
stati riproposti nell’area dell’Ortaglia di Santa Giulia, tra le domus e
le mura delle città, un hortus
e un viridarium, nei quali sono stati messi a dimora, in
seguito ad un’attenta selezione effettuata dagli architetti e dai botanici, le
piante ed i fiori che verosimilmente erano impiegati nell’antica Brixia per
scopi ornamentali, culinari o terapeutici, di cui sono stati reperiti esemplari
presso i più quotati e raffinati vivaisti italiani. La scelta delle specie si
basa sulle testimonianze iconografiche (mosaici ed affreschi) delle Domus, sui rinvenimenti archeologici effettuati in
aree analoghe e sulle fonti storico-letterarie latine, sia quelle che trattano
direttamente di frutteti e giardini (come Naturalis Historia di Plinio, Res
Rusticae di Columella, De Agricoltura di Catone, De Re Rustica
di Varrone) sia quelle che indirettamente forniscono informazioni sulle colture
antiche (ad esempio Marziale e Petronio).
Il disegno del verde è di geometria essenziale, con semplici
percorsi pavimentati in lastre di pietra che sottolineano il diverso carattere
degli spazi recuperati, con un intento evocativo e didattico esemplare.
Tra le specie da frutto poste a dimora nell’hortus, prevalgono la
vite cara a Dioniso, di cui tralci e grappoli compaiono in numerosi mosaici
ed affreschi delle Domus, il fico, pianta sacra presso tutte le
civiltà mediterranee, il melo (Marziale ricorda le 32 varietà coltivate
nel suo podere), il cotogno (i cui fiori e frutti trovavano innumerevoli
usi, dalle conserve, alla decorazione di tavole imbandite, dalla profumazione
della biancheria alla distillazione), il pero (bellissime pere compaiono
nella decorazione della Sala delle Stagioni delle Domus dell’Ortaglia), il
nespolo comune, il susino ed il pesco oltre al diffusissimo e
beneaugurante melograno.
Nel viridarium invece sono stati poste a dimora siepi
geometriche di bosso (l’ars topiaria si diffuse in età
repubblicana) e di lauro, sacro ad Apollo oltre che cespugli di oleandro
(la pianta da fiore più riprodotta nella pittura romana), di viburno (augurale
nelle case) e di mirto (con il quale si intrecciavano corone alle spose.
Regina di ogni viridarium era la rosa. I testi antichi
la definiscono come il fiore più bello, la gioia degli dei, il cuscino di
Cupido, il vestito di Afrodite.
Sono state ritrovate e quindi trapiantate le varietà più antiche, con
fiori semplici, profumati, monocromi o variegati bianchi e rosa, così come
tramandati dall’iconografia: dalla canina, la spontanea rosa grecula dei
Romani, alla gallica, dalla muschata, alla damascena bifera, l’unica
che fioriva due volte l’anno.
Oltre l’hortus e il viridarium, verso le mura augustee,
è stato invece allestito il primo nucleo di un grande Parco Archeologico,
dove sono state collocate testimonianze romane rinvenute in diverse aree di Brixia
e progressivamente ricoverate nel corso degli anni presso il Museo. Si tratta
di iscrizioni, grandi frammenti architettonici di edifici pubblici, altari votivi e monumenti funerari, tutti
recuperati nel corso dei secoli nel centro storico della città, in molti casi
reimpiegati in edifici post-romani. Esposti al pubblico per la prima volta pur
non riferibili nella maggior parte dei casi a specifiche architetture o a contesti
di appartenenza, consentono tuttavia di immaginare la magniloquenza degli
edifici monumentali pubblici della città antica, oggi scomparsi, oltre a quelli
noti e tuttora visibili nel tessuto urbano contemporaneo del capitolium,
del foro, del teatro e della basilica.
I reperti sono disposti secondo un ordine basato su categorie
funzionali, come se fossero collocati in un ampio deposito a cielo aperto. Il
numero più cospicuo è costituito dai blocchi architettonici con decorazioni a
rilievo (fregi vegetali, cornici, mensole) e a modanatura liscia; sono inoltre presenti
alcuni altari votivi con ghirlande vegetali a rilievo, frammenti con tracce di
iscrizione e monumenti funerari (tra i quali i caratteristici signacula
a forma di pigna). All’interno di quest’ultimo gruppo si segnalano, per
importanza e mole, i grandi sarcofagi rinvenuti in via Cremona nella primavera
del 2002, due dei quali con ancora la copertura in pietra con cuspidi angolari.
Il percorso di visita anche in questo caso si snoda attraverso
rigorosi piani pavimentali in pietra grigia, che riprendono l’andamento
geometrico delle mura e l’orientamento delle Domus.
Lo spazio fino ad ora allestito, oltre 3.000 mq, è caratterizzato
dalla presenza di specie arboree coerenti con il mondo romano: grandi olmi
campestri, cipressi e lunghi filari di acanto le cui bellissime
foglie, secondo la tradizione fin dai tempi di Callimaco, hanno ispirato i
rilievi di fregi e capitelli delle architetture più auliche.