domenica 22 giugno 2014

BRESCIA petit déjeuner sur l'herbe? ...sì ma come gli antichi romani!

Un petit déjeuner sur l'herbe... dove?
Al VIRIDARIUM di Santa Giulia!
Ingresso libero tutti i giorni tranne il lunedì
si entra dalla biglietteria del museo,
 ma senza bisogno di biglietto 




Intorno alle Domus rinascono l’hortus e il Viridarium.


Le Domus dell’Ortaglia, le bellissime case romane rinvenute nelle vicinanze del museo di Santa Giulia, a Brescia, sono nuovamente contornate da fiori e piante così come lo erano duemila anni fa. E’ la nuova tappa del processo di recupero e valorizzazione culturale e turistica della città, scaturito dalla partnership tra il Comune di Brescia e la Fondazione CAB, che in questo progetto vedono affiancarsi anche la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia.
Architetti, archeologi, esperti di botanica e giardinieri, si sono a lungo confrontati per riuscire ad evocare per gli spazi verdi continui alle Domus l’aspetto, l’atmosfera, le caratteristiche che un cittadino dell’antica Brixia avrebbe potuto osservare passeggiando in questo quartiere entro le mura cittadine.

Gli scavi archeologici effettuati in adiacenza alle domus avevano messo in evidenza un’area non edificata all’interno della quale semplici muri di cinta in pietra di cava delimitavano spazi geometrici quadrangolari, per i quali era stata ipotizzata la funzione di horti delle Domus.
I Romani iniziarono a riservare spazi verdi all’interno delle città, di pertinenza residenziale, a partire dal II secolo a.C., secondo una consuetudine ereditata dal mondo greco, dove la cura di piccoli frutteti o giardini era già in uso fin dal V secolo a.C.
I primi horti delle città romane sono molto semplici, con una funzione prevalentemente produttiva legata alla coltivazione di alberi da frutto ed erbe aromatiche; solo in un secondo momento vengono allestiti giardini più ameni, i viridaria, con specie arboree e da fiore provenienti da tutto il bacino del mediterraneo, coltivati a fini simbolici, decorativi e contemplativi.
Il termine hortus tuttavia venne comunemente utilizzato per indicare sia l’orto-frutteto che il viridarium.
Le fonti tramandano che il primo grande giardino in questo senso fosse stato realizzato intorno al 60 a.C. nella villa di Lucullo, proconsole molto facoltoso che aveva vissuto a lungo in oriente. La successiva diffusione di questi spazi verdi anche all’interno delle città indica l’intenzione di riportare in piccolo, presso le Domus, i luoghi di diletto tipici delle grandi residenze extraurbane.
Sulla scorta quindi della tradizione e della cultura romana, sono stati riproposti nell’area dell’Ortaglia di Santa Giulia, tra le domus e le mura delle città, un hortus



e un viridarium, nei quali sono stati messi a dimora, in seguito ad un’attenta selezione effettuata dagli architetti e dai botanici, le piante ed i fiori che verosimilmente erano impiegati nell’antica Brixia per scopi ornamentali, culinari o terapeutici, di cui sono stati reperiti esemplari presso i più quotati e raffinati vivaisti italiani. La scelta delle specie si basa sulle testimonianze iconografiche (mosaici ed affreschi) delle Domus,  sui rinvenimenti archeologici effettuati in aree analoghe e sulle fonti storico-letterarie latine, sia quelle che trattano direttamente di frutteti e giardini (come Naturalis Historia di Plinio, Res Rusticae di Columella, De Agricoltura di Catone, De Re Rustica di Varrone) sia quelle che indirettamente forniscono informazioni sulle colture antiche (ad esempio Marziale e Petronio).
Il disegno del verde è di geometria essenziale, con semplici percorsi pavimentati in lastre di pietra che sottolineano il diverso carattere degli spazi recuperati, con un intento evocativo e didattico esemplare.
Tra le specie da frutto poste a dimora nell’hortus, prevalgono la vite cara a Dioniso, di cui tralci e grappoli compaiono in numerosi mosaici ed affreschi delle Domus, il fico, pianta sacra presso tutte le civiltà mediterranee, il melo (Marziale ricorda le 32 varietà coltivate nel suo podere), il cotogno (i cui fiori e frutti trovavano innumerevoli usi, dalle conserve, alla decorazione di tavole imbandite, dalla profumazione della biancheria alla distillazione), il pero (bellissime pere compaiono nella decorazione della Sala delle Stagioni delle Domus dell’Ortaglia), il nespolo comune, il susino ed il pesco oltre al diffusissimo e beneaugurante melograno. 
Nel viridarium invece sono stati poste a dimora siepi geometriche di bosso (l’ars topiaria si diffuse in età repubblicana) e di lauro, sacro ad Apollo oltre che cespugli di oleandro (la pianta da fiore più riprodotta nella pittura romana), di viburno (augurale nelle case) e di mirto (con il quale si intrecciavano corone alle spose.
Regina di ogni viridarium era la rosa. I testi antichi la definiscono come il fiore più bello, la gioia degli dei, il cuscino di Cupido, il vestito di Afrodite.
Sono state ritrovate e quindi trapiantate le varietà più antiche, con fiori semplici, profumati, monocromi o variegati bianchi e rosa, così come tramandati dall’iconografia: dalla canina, la spontanea rosa grecula dei Romani, alla gallica, dalla muschata, alla damascena bifera, l’unica che fioriva due volte l’anno.
Oltre l’hortus e il viridarium, verso le mura augustee, è stato invece allestito il primo nucleo di un grande Parco Archeologico, dove sono state collocate testimonianze romane rinvenute in diverse aree di Brixia e progressivamente ricoverate nel corso degli anni presso il Museo. Si tratta di iscrizioni, grandi frammenti architettonici di edifici pubblici,  altari votivi e monumenti funerari, tutti recuperati nel corso dei secoli nel centro storico della città, in molti casi reimpiegati in edifici post-romani. Esposti al pubblico per la prima volta pur non riferibili nella maggior parte dei casi a specifiche architetture o a contesti di appartenenza, consentono tuttavia di immaginare la magniloquenza degli edifici monumentali pubblici della città antica, oggi scomparsi, oltre a quelli noti e tuttora visibili nel tessuto urbano contemporaneo del capitolium, del foro, del teatro e della basilica.
I reperti sono disposti secondo un ordine basato su categorie funzionali, come se fossero collocati in un ampio deposito a cielo aperto. Il numero più cospicuo è costituito dai blocchi architettonici con decorazioni a rilievo (fregi vegetali, cornici, mensole) e a modanatura liscia; sono inoltre presenti alcuni altari votivi con ghirlande vegetali a rilievo, frammenti con tracce di iscrizione e monumenti funerari (tra i quali i caratteristici signacula a forma di pigna). All’interno di quest’ultimo gruppo si segnalano, per importanza e mole, i grandi sarcofagi rinvenuti in via Cremona nella primavera del 2002, due dei quali con ancora la copertura in pietra con cuspidi angolari.
Il percorso di visita anche in questo caso si snoda attraverso rigorosi piani pavimentali in pietra grigia, che riprendono l’andamento geometrico delle mura e l’orientamento delle Domus.

Lo spazio fino ad ora allestito, oltre 3.000 mq, è caratterizzato dalla presenza di specie arboree coerenti con il mondo romano: grandi olmi campestri, cipressi e lunghi filari di acanto le cui bellissime foglie, secondo la tradizione fin dai tempi di Callimaco, hanno ispirato i rilievi di fregi e capitelli delle architetture più auliche.